Marketing Provocatorio

Caso Burgez

Nel mondo del fast food, farsi notare è fondamentale e il marketing provocatorio di Burgez ci è riuscito benissimo. Fin dal principio, Burgez ha abbracciato l’irriverenza come suo marchio di fabbrica, inondando il panorama italiano con slogan provocatori e un’immagine sfacciatamente ribelle. Questa strategia aggressiva ha rapidamente catturato l’attenzione, ma è stata al tempo stesso il motivo del declino del brand. 

  1. La strategia di Burgez
  2. La mancanza di relazione nel marketing di Burgez
  3. Il tentativo di rebranding di Burgez
  4. Le conseguenze di un marketing sbagliato

1. La strategia di Burgez

Burgez, fondato nel 2015 da Simone Ciarruffoli, ha conquistato il fast food italiano con un’immagine provocatoria, raggiungendo quasi 12 milioni di euro di fatturato nel 2022, ma registrando anche perdite significative. La strategia di marketing, inizialmente efficace, ha perso slancio, evidenziata da bassi tassi di engagement sui social.

2. La mancanza di relazione nel marketing di Burgez

Il vero problema di Burgez è emerso quando la strategia iniziale ha smesso di essere un vantaggio. Quello che un tempo era un marketing geniale e di rottura, ha iniziato a generare solo rumore di fondo. Il brand ha faticato a evolversi, rimanendo ancorato a un approccio che, seppur efficace all’inizio per attirare l’attenzione, non è riuscito a costruire un legame autentico con il pubblico. Basta dare un’occhiata ai loro canali social: pochi like, scarse interazioni significative. Burgez era maestro nel farsi notare, ma ha trascurato l’importanza di creare relazioni durature con i propri clienti.

3. Il tentativo di rebranding di Burgez

Nonostante il marketing, Burgez ha provato a mantenere un’identità anche nel menù, con panini dal nome accattivante come “Rehab” e “Fake Burgez” e ha saputo anche cavalcare l’onda del food delivery durante la pandemia, sfruttando un momento di grande crescita per il settore.

Più di recente, Simone Ciarruffoli ha tentato un cambio di rotta, cercando di riposizionare il brand con un approccio più “responsabile”, avvertendo i clienti sui rischi degli hamburger poco cotti: un tentativo che non è andato a buon fine perchè ormai il pubblico aveva etichettato Burgez come “esagerato” e un semplice rebranding non poteva bastare a risolvere una crisi finanziaria ormai in atto.

4. Le conseguenze di un marketing sbagliato

Oggi Burgez è in liquidazione e la sua fine non è dovuta solo alla comunicazione, ma soprattutto all’incapacità di trasformare la visibilità in una relazione solida e duratura con i clienti. La lezione di Burgez è chiara: il marketing non può essere solo intrattenimento, deve essere strategico. Un brand non può permettersi di mantenere un’immagine ribelle a tutti i costi, soprattutto quando il mercato richiede un approccio più maturo e consapevole. Il mercato ha risposto di conseguenza, e la storia di Burgez serve da monito per tutti coloro che pensano che la sola provocazione basti a costruire un impero.

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